Il male italiano by Raffaele Cantone

Il male italiano by Raffaele Cantone

autore:Raffaele Cantone [Cantone, Raffaele]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Rizzoli
pubblicato: 2015-11-05T16:00:00+00:00


5

Capitani poco coraggiosi

Lei crede che l’imprenditoria italiana sia pronta a fare la sua parte per imporre la legalità? Anni di crisi hanno operato una selezione forzata, mettendo ko molte delle imprese che vivevano di sussidi pubblici o commesse statali senza qualità.

Ci sono i segnali di un cambiamento. E non mi sembra si tratti delle solite manifestazioni di facciata: si sente la necessità di cominciare a voltare pagina. L’imprenditore si prefigge un guadagno e vuole raggiungerlo a tutti i costi: paga tangenti per ottenere una commessa, ma poi recupera il prezzo sulla qualità delle opere. Oggi questa pratica non è più sostenibile. La stagione delle vacche grasse è finita, il rubinetto del denaro pubblico è stato chiuso. E una parte dell’imprenditoria si è resa conto che la corruzione è diventata un problema che paralizza l’intero sistema e danneggia anche i suoi interessi, perché allontana i finanziamenti e non consente di mettere in campo un necessario programma di modernizzazione infrastrutturale del Paese.

Il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi ha dichiarato che «i comportamenti illegali danneggiano prima di tutto le imprese, perché creano una forma di concorrenza sleale che frena lo sviluppo della competitività e inquina la società civile». E ha promesso che «non ci sarà nessuna tolleranza per chi ricorre a facili scorciatoie».

Agli inizi degli anni Novanta c’è stata una svolta nella lotta alla mafia, perché gli imprenditori hanno capito di non avere più il controllo nel rapporto con i clan. Figure come Totò Riina non si accontentavano di un rapporto vassallo con le imprese finalizzato solo a ottenere denaro; pretendevano d’avere potere decisionale su tutto: su come svolgere i lavori, su quali legami stringere con la politica, persino su come fare impresa. Da quel momento in poi, a partire dalla Sicilia, Confindustria ha espulso le aziende legate ai clan. Oggi abbiamo chiesto di usare lo stesso metodo contro la corruzione, per dare un segnale diretto: chi paga tangenti deve essere messo fuori. Confindustria sembra intenzionata a concretizzare questa indicazione e vuole inserire nel suo regolamento l’espulsione per chi viene condannato per corruzione.

Nel 1993, però, ci fu un intervento decisamente clamoroso. Durante un convegno della Fondazione Giorgio Cini, Gianni Agnelli dichiarò: «È bene che i magistrati lavorino serenamente e tranquillamente. Gli scandali è sempre bene che vengano a galla. […] Credo sia errato e fuorviante pensare che le indagini della magistratura facciano parte di un complotto o di oscure manovre politiche». Quelle parole segnarono una svolta per Mani Pulite: inaugurarono una stagione di collaborazione tra industriali e magistrati e dettero il colpo di grazia agli equilibri della prima repubblica. Oggi può accadere qualcosa del genere?

Credo sia difficile e l’esperienza tutto sommato non esaltante di Mani Pulite sul punto potrebbe far propendere per un’altra strada. L’imprenditore che va a collaborare con il magistrato, se fa un discorso utilitaristico, si chiede ci guadagno o ci perdo? E la risposta spesso è: «Ci perdo». Deve comunque confessare un reato, accusare amici e soci, uscire da un certo mondo che da quel momento gli chiuderà le porte in faccia.



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